(Per
avere copia del Quaderno rivolgersi ad uno dei Centri della Missione)
Estratto dal
Quaderno Febbraio - Marzo 2007
Dossier:
Ritiro del tempo di Natale
IL CREDO COME ESPERIENZA
DI FEDE NELLA PRASSI DELLA QUOTIDIANITA' DEI CRISTIANI
1. "IO CREDO IN UN SOLO
DIO"
"Di generazione in generazione
la sua misericordia su coloro che lo temono"
Parte della
sintesi delle riflesssioni svolte da Mons. Luciano Padovese - Como 3-4
gennaio 2007
Introduzione
Dal Natale,
il vero volto di Dio Amore
II tema generale
di questo ritiro di Natale è "Io credo in
un solo Dio. Di generazione in generazione è la sua mi-
sericordia su coloro che lo temono".
Con questo
primo incontro ci introduciamo al tema genera-
le che svilupperemo nel corso di questo anno; "II Credo
come esperienza di fede nella prassi della quotidianità
dei credenti" (se si vuole essere veramente testimoni di
speranza).
Dal momento
che siamo ancora in clima natalizio, proprio
per presentare il volto di Dio - Amore, ci affidiamo a una
poesia di Chiara Lubich;
NATALE
«L'invisibile
si è reso visibile,
il Verbo si è fatto carne,
la luce ha brillato tra le tenebre
e Dio è disceso sulla terra per noi.
Non c'è dubbio che ci ama.
Se Dio ci ama tutto è più leggibile.
Dietro i tratti oscuri dell'esistenza
si può scoprire la mano amorosa di Lui
perché spesso a noi ignota
non perché Dio non sia Amore».
Attingendo
al vero volto di Dio cerchiamo il nostro vero volto, cioè cerchiamo
noi stessi, la nostra identità di credenti, di cristiani.
Non
si tratta di un Dio che si aggiunge alla vita, ma di un Dio che ci fa
da specchio, da patner e si rivela veramente nell'alleanza che nasce
dall'essere in intimità con lui, dal sentirlo compagno e complice.
Un Dio che per essere capito richiede profondità di motivazioni.
L'Antico
e il Nuovo Testamento lo definiscono con una serie di parentele, che
devono essere assommate e non alternative le une alle altre: Dio Padre,
Dio Madre, Dio Fratello, Dio Sposo.
Senza
questa profondità di motivazioni perde molto senso la stessa
preghiera, il silenzio, la testimonianza, la Messa. Finiamo con l'essere
dei "cafoni" perché facciamo passare per vere delle
cose false, oppure dei "barboni", cioè persone che
si lasciano vivere ma non vivono.
Occorre,
perciò, evitare contraddizioni quali:
*
l'efficientismo, la patologia di pensare solo a se stessi, il narcisismo,
il sentirsi realizzati pensando solo al fare, a tirar fuori "ragni
dai buchi", per vivere in profondità il silenzio amico,
la contemplazione del volto di Dio - Amore che apre agli altri.
*
l'uscire dall'impantanamento di se stessi, dall'egocentrismo, dall'egoismo,
dai sensi di colpa, nascondendosi dietro il discorso della buona fede.
Se qualcosa è sbagliata occorre valutare come correggere l'errore
e non valutare se si ha o non si ha colpa. Occorre quindi uscire da
un infantilismo umano e religioso ed essere infantili con Dio, nel senso
di bambini di Dio, perché Dio ci ha fatti a sua immagine e somiglianza.[...]
Estratto dal
Quaderno - Novembre 2006
Dossier:
SPERANZA E MISERICORDIA
Per un cammino di fede adulta e di amore cristiano
Dalla registrazione delle riflessioni
guidate da Mons. Luciano Padovese.
Questo corso di Esercizi Spirituali è
l’ultimo appuntamento annuale del percorso di formazione permanente
de “La Missione” sul tema: “Testimoni della speranza”.
Vuole far suo l’obiettivo della Chiesa italiana nel Convegno di
Verona “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”
e fa tesoro dell’enciclica di Papa Benedetto XVI “Deus caritas
est”. Il corso intende offrire concrete indicazioni di speranza
e carità attraverso le sette opere di misericordia spirituale.
1^
PARTE
IN UN CAMMINO DI FEDE ADULTA
“DARE RAGIONE DELLA SPERANZA” NELL’ESERCIZIO DELLA CARITÀ
Introduzione:
E’ BELLO STARE QUI
1. SPIRITUALITÀ E SERVIZIO
Dall’unione con Dio all’accoglienza dei “poveri”
(Deus caritas est)
In questa prima riflessione prendiamo spunto dalla liturgia
della solennità della Trasfigurazione per sottolineare che per
introdursi ad un corso di Esercizi spirituali è necessario porsi
in una dinamica interiore per dare, da veri cristiani, una testimonianza
di speranza, a se stessi e agli altri.
In questo nostro tempo, spesso, i cristiani sono una contro testimonianza:
a fronte di un moralismo crescente c’è poca autenticità
di testimonianza.
In questi giorni è importante rientrare in se stessi, rafforzare
le proprie motivazioni, “rinsanguare le proprie anemie” per
cogliere in profondità il senso della speranza che è in
noi e di cui dobbiamo dare testimonianza. Da qui il bisogno di trasfigurarsi,
cioè che le vesti diventino splendenti, come dice il Vangelo. Le
vesti che Gesù indossava abitualmente, quotidianamente, diventano
luminose, si trasfigurano sul Tabor. Le vesti significano la quotidianità,
il proprio modo di vivere, a cui dare splendore, trasfigurare in una positività
nuova.
Una seconda osservazione. Le esperienze spirituali assumono spesso degli
equivoci, cioè si credono belle, significative, proficue se scuotono.
Ma una stupenda preghiera dice: <<Padre santo, effondi la rugiada
del tuo amore…>>. La rugiada dice vitalità, delicatezza,
gentilezza…, diverse dalla violenza, dal frastuono…
Nella Bibbia, ancora, si parla di una caratteristica preminente dell’incontro
con Dio e con se stessi: la verità che non si trova nella tempesta,
nel vento impetuoso, ma nel vento leggero, nel mormorio, nel soffio. Esattamente
il contrario della cultura moderna e di molte correnti religiose che per
provare la propria presenza devono provocare meraviglia, fare rumore,
paura.
Da qui il bisogno di silenzio per rientrare in se stessi, nella profondità
del proprio io e cogliere nella “brezza leggera” il Signore
che parla e che senza fare violenza dice: <<Se vuoi…>>.
Il punto dolente per il cristiano di oggi è la difficoltà
di dare testimonianza della speranza. Già l’apostolo Pietro,
quando battezzava, raccomandava di dare ragione della speranza. La Chiesa,
ancora oggi, raccomanda nei suoi documenti di essere testimoni di speranza
a dei cristiani che faticano ad avere un minimo di positività.
Quali sono allora le coordinate fondamentali per essere testimoni di speranza,
prima in noi e poi per gli altri? Alcune indicazioni.
* Essere contemplativi nell’azione, cioè ritrovare e mettere
al centro della propria vita il mistero del primato assoluto di Dio. Per
tutti, anche per il laico più assoluto, è necessario essere
mistici, recuperare il senso del mistero. Mistero che è verità
accogliente di un Dio che ti viene incontro nella gentilezza del silenzio,
del vento leggero. Un Dio che per primo si mette a disposizione totale
dell’uomo. E’ quanto accade nel sacramento della confessione:
mistero di un Dio che ti viene incontro per accoglierti e darti speranza,
perché possa anche tu accogliere l’altro e dargli speranza
e vedere anche lui come mistero da cui attingere, come da un pozzo profondo,
ricchezze ed energie.
* Saper mettere il mistero del primato di Dio nella propria vita a servizio
di se stessi e degli altri. Mistero da vivere nella strada, nella vita,
nella quotidianità. Ecco allora la trasfigurazione, dove le vesti
del quotidiano diventano di luce, di servizio, di speranza. Se sono accolto
devo accogliere; se ricevo devo dare; se sono grande nelle mie esperienze
interiori devo essere grande negli atteggiamenti esterni di accoglienza,
con una evidenza di verità e non di funzionalità. Dare testimonianza
perché <<sono così>>, perché <<ho
preso da Dio>>, dalla sua profondità, dal profondo di me
stesso abitato da Lui, che mi ha “contagiato” di fiducia,
di positività, di dono, di gratuità.
Per portare un contributo di speranza occorre, quindi, ritornare alle
radici, a Gesù Cristo e sentire profondamente il senso religioso.
Gli
scritti di Don Marco Cinquetti per la Missione
Velina Straordinaria
Carissime,
la Missione ha origine nella contemplazione. Ciò che caratterizza
l’atteggiamento fondamentale della Missione, nei riguardi di altri
atteggiamenti verso gli uomini e le donne, è che esso concerne
l’aspetto religioso. La contemplazione è legata alla missione,
perché è nella misura in cui si è compreso quello
che è Dio, Uno e Trino, e fino a che punto il fatto di conoscerlo
e di amarlo in Cristo è costitutivo di un umanesimo totale e di
una esistenza completa, che si soffre e si è sorpresi che lui non
sia conosciuto e non sia amato e che, perciò, gli “altri”
si sentano nell’assurdo, perduti, confusi e vivano come “quelli
che non hanno speranza” o non possiedano la piena conoscenza e confessione
del vero Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Alla base dell’atteggiamento missionario, c’è una specie
di scandalo per questo rovesciamento dei valori, perché Cristo
occupa così poco spazio nelle preoccupazione degli uomini, mentre
il resto ne ha tanto. C’è la presa di coscienza di una certa
assenza di Dio nel mondo e che l’Amore non è accolto e amato.
Nella misura in cui ci rendiamo conto di come il Padre meriti di essere
amato, si desidera che il Padre sia anche amato dagli altri e si soffre
che egli sia sconosciuto o misconosciuto. Così, nello zelo della
missione che lo divorava, San Paolo aveva sete di far conoscere il vero
Dio agli uomini, perché sapeva, come dice sant’Ireneo, che
“la vita dell’uomo è la visione di Dio”.
Non c’è dunque opposizione tra contemplazione e missione.
L’idea che ce ne possa essere una e che occorre scegliere tra l’una
e l’altra è assurda. Al contrario, la missione appare come
lo sviluppo della contemplazione.
Velina
Straordinaria
II parte
...
Un santo è sempre qualcuno che ha il senso della grandezza di Dio
Padre, che è stato preso da Cristo e, pieno di questo amore, desidera
comunicarlo e parteciparlo, come si desidera parlare di quello che ci
riempie il cuore. Se non parliamo più di Cristo, è perché
il nostro cuore non ne è abbastanza pieno. II cuore pieno di Cristo
parla di Cristo e ne parla senza sforzarsi, mentre noi spesso ne parliamo
con fatica perché il nostro cuore non ne è abbastanza ardente.
Ci sono monaci che hanno il cuore pieno di Cristo, ci sono apostoli che
hanno il cuore pieno di Cristo, ci sono giovani che hanno il cuore pieno
di Cristo, ci sono bambini con il cuore pieno di Cristo.
Evidentemente
non bisogna aspettare di essere completamente pieni di Cristo per parlare
di lui, perché si potrebbe aspettare indefinitamente. C'è
come una causalità reciproca. II contatto con la gente è
spesso un richiamo alla preghiera... esiste una reciproca causalità
tra contemplazione e missione; se abbiamo parlato di Cristo agli altri
e abbiamo avuto questa preoccupazione "missionaria", proviamo
il bisogno di pregare di più. Alla sera di certe giornate nelle
quali si è sentito il peso della "missione", si ha il
bisogno di confidare a Cristo questo "carico" che ci schiaccia.
Allora, nell'intimità silenziosa e così semplice del nostro
cuore con il Padre, tutto è messo in comune:
Dio Padre porta il peso con noi e noi con il nostro Dio. In quel momento
il nostro spirito si apre e viene interamente penetrato da una intensa
presenza divina.
E'
necessario che proviamo tutto questo profondamente e che prendiamo coscienza
del pericolo rappresentato talora da un certo "fare" o da un
certo attivismo superficiale, per mantenere nella Missione il primato
dell'orientamento spirituale, il primato del desiderio di comunicare Cristo
agli altri e particolarmente alle altre.
Senza
minimizzare il dovere della misericordia corporale, che oggi si esprime
principalmente attraverso il servizio sociale, il servizio internazionale
e l'aiuto ai paesi sottosviluppati sotto differenti aspetti, un cristiano
(noi de "La Missione") non deve mai dimenticare che la prima
miseria è quella spirituale.
Lo
spirito de "La Missione" è una forma di amore per gli
altri, una forma di carità perfetta (donarsi interamente) che ci
apre alla misericordia spirituale. E' una presa di coscienza della nostra
miseria spirituale, da cui desideriamo seriamente toglierci per aiutare
altri a liberarsene in Cristo.
2.
continua |